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16 ottobre 1943: rastrellamento del Ghetto di Roma

Anche quest’anno la Biblioteca Istituzionale e l’Archivio Storico partecipano al ricordo della terribile giornata del 16 ottobre 1943, data in cui si perpetrò il sistematico, capillare, immane rastrellamento e deportazione degli ebrei di Roma: più di mille uomini, donne, bambini di ogni età furono caricati con estrema crudeltà e violenza dai nazisti, con il solerte aiuto dei fascisti, sui camion fino al Collegio Militare Italiano a via della Lungara. Il giorno dopo, furono rilasciati coniugi non ebrei, figli di matrimoni misti e non ebrei.

Il 18 ottobre, dallo scalo ferroviario della Tiburtina partì un treno dai vagoni sigillati, stipati all’inverosimile. Giunse ad Auschwitz-Birkenau la notte del 22 ottobre.

 

 

Tornarono a casa solo 15 uomini e 1 donna

 

 

 

 

Ma molte persone riuscirono a salvarsi, a volte in modo fortuito e rocambolesco, grazie all’aiuto di Uomini e Donne (il maiuscolo è d’obbligo) che non avevano perso Umanità.

Pastore Sbaffi, il carbonaio e il convento di suore di Monteverde, la padrona della casupola sul Tevere, il commesso Alberto Allocca, la clinica “Fioretti”, Ada Biciocchi...

sono solo alcuni degli “eroi minori” che in quelle ore concitate e disperate aiutarono le famiglie ricordate da Sandro Gai in Mio Dio perchè. 16 ottobre 1943 in fuga con blocco e matita, Palombi, Roma 2012, uno dei volumi della Biblioteca riguardanti la persecuzione razziale e l’Olocausto. Prezioso per la sua documentazione iconografica (contiene, infatti, i disegni di Aldo Gai, il padre, che come un reporter, utilizzò la sua bravura per “scattare” istanti di quegli attimi terribili), raccoglie anche le testimonianze dei membri della sua famiglia e dei molti ebrei che condivisero la fuga disperata in giro per una Roma impazzita, violentata dai nazifascisti, e successivamente da Roma, nelle campagne e nei paesi del territorio metropolitano.

 

 

Rifugiatisi dapprima a Gerano e poi ad Olevano Romano, il 16 febbraio del 1944, Aldo  e la sua famiglia riescono a sfuggire alle SS grazie all’avviso del brigadiere dei carabinieri e al parroco Don Paolo Ponziani. 

Un’altra figura che più volte aiuta la sua famiglia è Guido Garulli, emblema di quei personaggi difficilmente ascrivibili interamente alla categoria dei buoni o dei cattivi, o forse semplicemente persona che, pur trovandosi su fronti opposti, non dimentica amicizie o un briciolo di umanità.

Garulli, fascista, processato come collaborazionista, proprietario di un negozio di strumenti musicali, amico di Aldo, mise in salvo molte famiglie ebree, procurando loro anche documenti falsi. Addirittura, portò lui stesso Aldo e altri con la sua macchina da Roma ad Olevano Romano, trovandogli alloggi sicuri.

“Gli olevanesi gli ebrei li hanno ficcati tutti dentro le case, sono stati tutti bene perchè nessuno ha fatto la spia ” (testimonianza di Maria Mastropietro, moglie di Giulio Mirti, p. 109). Fausto Mirti era contadino di Olevano e reduce della Prima Guerra Mondiale, con sua moglie Bertina, i figli Elide, Giulio e Nino ospitaronoed aiutarono la famiglia Gai e le altre:

“mio padre – conclude Giulio – ci ha insegnato ad aiutare sempre colui […]

ad aiutare la brava gente non ci rimetti mai niente”. (p. 116)

Nella testimonianza di Lello Caviglia, appare un altro tassello della grandissima generosità e dell’eroismo degli abitanti di Olevano Romano, sempre attenti, non solo ad ospitare, ma soprattutto a proteggere e nascondere le famiglie ebree dalle razzie dei tedeschi. Il 5 febbraio del 1944, irrompono le SS nella casa in cui sono Lello, la figlia di 6 mesi e il cognato Mario, un ragazzo di 15 anni:

“Tutto sembra essere perduto senza l’intervento di paesane coraggiose che assistendo dall’esterno all’irruzione, dopo essersi consigliate nel modo migliore per aiutare i due disgraziati decidono di mandare una di loro, Matirdozza (Matilde), forse la più coraggiosa, dal capo pattuglia”.

Matirdozza dice al tedesco che lo vuole il Podestà. Le SS si allontanano, lasciando i poveri prigionieri in custodia ai militari all’ingresso. Ma le donne riescono a farli fuggire sui tetti:

“Improvvisamente, sentimmo all’altro ingresso un gran vociferare un gran frastuono che ci permise, passando inosservati, di dirigerci verso l’altra uscita. Scappammo su per le scale e fummo presi da quelle donnette che ci infilarono dentro un altro appartamento” (p. 154). Da lì, di tetto in tetto, scendono in un’altra casa, dove un’altra donna coraggiosa prende la piccola in braccio e la porta in salvo.

Le donne organizzano una staffetta che fa attraversare al gruppo in fuga tutto il paese occupato dai nazisti. Presso la piazza di San Rocco, “mi fecero entrare dentro l’ennesima casa dove ad aspettarmi trovai mio padre, mia madre, Bianca, Fiorella e la bambina. Poco dopo arrivò anche Lello con lo stesso sistema ma attraverso un tragitto differente. Ci eravamo riuniti” (p. 156).

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